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Quiet Quitting, Quiet Cutting, Quiet Firing: tendenze HR da non sottovalutare 

Maggio 3, 2024

I fenomeni “quiet” di un mondo del lavoro che quieto non è

Il mondo del lavoro è in costante evoluzione, plasmato da cambiamenti socio-culturali, tecnologici ed economici che influenzano profondamente la vita professionale delle persone e gli ecosistemi organizzativi. In questo contesto, spiccano svariati fenomeni che riflettono le complesse dinamiche delle relazioni e delle sfide che i lavoratori affrontano nel perseguire una carriera soddisfacente e “ricca”. 

E il trend del “quiet”, sempre più diffuso nel mondo organizzativo, ci dimostra come la calma non assume di default un’accezione positiva.

“Quiet quitting”, “quiet cutting” e “quiet firing”, per esempio, sono un trio di tendenze che raccontano tanto sul modo in cui le persone gestiscono le proprie carriere e le aziende i propri collaboratori. Si tratta di fenomeni che vanno oltre i tradizionali concetti di dimissioni e licenziamenti, offrendo nuove prospettive su come si sta navigando il panorama professionale odierno.

Da chi è alla ricerca di una via d’uscita discreta, a chi sta tentando di reinventarsi nel proprio lavoro per non mandare tutto all’aria, fino a chi si trova nella situazione di licenziare o essere licenziato silenziosamente: ogni caso ci invita a esaminare più da vicino i contorni sempre più frastagliati della vita lavorativa.

Quiet quitting: dalle Grandi Dimissioni al “Less is More”

Il Quiet Quitting è la tendenza a fare il minimo indispensabile sul proprio posto di lavoro, rifiutando straordinari, responsabilità extra e qualsiasi attività che fuoriesca dai propri confini contrattuali.

A differenza del fenomeno della “Great Resignation”, il quiet quitting va oltre la semplice rinuncia formale al lavoro e, come sostiene l’autore e sociologo David Graeber, rappresenta una forma di protesta silenziosa contro la cultura aziendale tossica e la mancanza di significato nel lavoro. Questo concetto trova riscontro anche nella teoria del “Less is More” di Richard Koch, che sostiene che il successo non dipende dall’eccesso di sforzi e dall’accumulo di compiti, ma piuttosto dalla concentrazione su poche attività di grande valore. Quindi, in un’epoca in cui sempre più persone cercano di trovare il giusto incastro tra vita e lavoro, la silenziosa ritirata dalla corsa del “fare sempre di più“ diviene una strategia per perseguire una carriera più autentica e gratificante.

Il Quiet Quitting è un azione di autodifesa nei confronti della sensazione di non “essere mai abbastanza”, di una cultura del lavoro tossica e di fenomeni di burnout che esauriscono la persona fisicamente e mentalmente, a favore del benessere psico-fisico e di ambienti più sani e stimolanti.

Dal Quiet Quitting al Quiet Cutting: cambiare posizione o lasciare il lavoro? 

Il fenomeno del quiet quitting ha preso piede a partire dal mondo social, per questo viene spesso descritto come legato alle nuove generazioni. 

Eppure, nonostante i Millennials e Generazione Z siano le generazioni del “youth disillusionment” (o disillusione giovanile), fenomeno che di fatto riduce l’ingaggio e la motivazione dei giovani nelle organizzazioni,  l’”abbandono silenzioso” non dipende solo dal lavoratore (e, quindi, dalla sua età) e l’inversione di tendenza, spesso, non viene agevolata proprio dalle aziende. 

La loro risposta al quiet quitting è infatti spesso il cosiddetto “quiet cutting”, una strategia di “taglio silenzioso” caratterizzata dalla revisione di organigrammi, divisioni organizzative, uffici e dall’assegnazione ai lavoratori di incarichi diversi da quelli per cui erano stati assunti.

Parliamo di una tattica di ristrutturazione aziendale che solleva il datore di lavoro dai costi di licenziamento rimandando al dipendente la responsabilità di decidere in che modo ovviare alla nuova situazione lavorativa, non sempre soddisfacente.

“Cambiare o lasciare” diventa il vero dilemma per il lavoratore.

E così la pratica del quiet cutting rischia di creare un clima di paura e sfiducia, oltre alla sensazione di esser costretti a rivedere le proprie aspirazioni e il proprio piano di carriera.

Il “taglio silenzioso” può causare:

  • disagio emotivo, facendo sentire la persona arrabbiata, frustrata e tradita.
  • Perdita di fiducia, autostima e motivazione. Così come ansia, stress e burnout.
  • Calo della produttività, della qualità e della creatività dei dipendenti.
  • Riduzione dell’impegno nei confronti dell’azienda, della cooperazione con i colleghi e del coinvolgimento nel lavoro.
  • Ricerca di nuove opportunità e licenziamento della persona. 

Insomma, il quiet cutting rappresenta il tentativo celato di spingere l’individuo all’esasperazione e alla scelta di fare un passo indietro rispetto al proprio posto di lavoro.

Quiet Firing: quando il licenziamento si fa silenzioso

Un altro tra i fenomeni “quiet” che riguardano comportamenti passivo-aggressivi provenienti dall’alto e che portano il lavoratore a sentirsi incompetente e isolato, è il quiet firing, o “licenziamento silenzioso”.

A differenza del quiet cutting, il lavoratore non perde la propria posizione e continua a svolgere le abituali mansioni ma in un clima di totale disinteresse da parte dell’azienda.

Il quiet firing va oltre il licenziamento tradizionale. Il quale, quindi, non è più conseguenza di una decisione ufficiale da parte dell’organizzazione, ma di una serie di comportamenti subdoli da parte dei superiori che fanno sentire la persona inutile e inadeguata. 

In sostanza, si viene licenziati in silenzio, aspettando che sia il dipendente stesso a decidere di andarsene.

Possiamo individuare alcuni segnali caratterizzanti il fenomeno di quiet firing:

  • assenza di feedback da parte dei superiori e scarsa riconoscenza del lavoro svolto;
  • disinteresse verso le idee del lavoratore e tendenza a scartare ogni proposta senza spiegazioni plausibili;
  • mancanza di riconoscimenti economici al netto dei risultati raggiunti;
  • isolamento ed esclusione da riunioni, eventi aziendali e incontri sociali;
  • assegnazione di compiti complessi in modo sproporzionato e continua messa in discussione dell’operato.

Uno sguardo al futuro: il #quittok e i giovani che si licenziano in diretta

Come afferma la Bbc, a tutte le espressioni appena citate bisogna aggiungere anche #quittok, l’hashtag che riunisce i video dei Millennial che si licenziano in diretta.

Il primo segnale di questa nuova tendenza possiamo ritrovarlo nel luglio 2021, quando un gruppo di dipendenti di una nota catena internazionale di fast-food, pubblica un video online in cui mostra al mondo una dimissione di massa durante il turno di lavoro, comunicata su un foglio con scritto “Everyone quit. We are closed”. Una clip diventata virale in pochissimo tempo e fonte di ispirazione per l’avvio di un nuovo trend.

Il “quittok” riflette la spinta dei giovani non solo a liberarsi da lavori che non li rendono felici, ma anche a raccontare le esperienze  negative vissute negli ambienti aziendali. Un fenomeno che potrebbe pesare in modo importante sulla reputazione delle aziende.

 La speranza è che le organizzazioni non restino passive di fronte a questa tendenza, ma riflettano in modo più profondo sul loro modo di gestire le persone.

Dalla tendenza “quiet” alla comunicazione aperta e trasparente

“Il lavoro non è più solo un luogo, deve essere una fonte di relazioni appaganti e una comunità a cui i dipendenti si sentono legati”, afferma Niamh Graham, SVP di Global Human Experience di Workhuman.

Tra le principali azioni per promuovere ambienti di lavoro sani e persone soddisfatte troviamo:

  • comunicazione trasparente. Significa creare un ambiente in cui le persone si sentano a proprio agio nell’esprimere preoccupazioni, nel fornire suggerimenti, condividere idee, ecc. 
  • Riconoscimento e apprezzamento, ossia potenziare la cultura del feedback e la valorizzazione del contributo delle persone.
  • Attenzione verso l’altro. È molto più facile affrontare i problemi prima che diventino cronici. Ciò significa identificare segnali di disagio prima che si trasformino in comportamenti tossici.
  • Lavorare sulla fiducia per far sentire le persone responsabilizzate, apprezzate e trattate con rispetto.
  • Investire nello sviluppo professionale. La mancanza di motivazione può essere causata dalla noia o dall’assenza di stimoli sul lavoro: un efficace programma di apprendimento e sviluppo migliora la soddisfazione e aiuta a vedere un futuro a lungo termine nell’organizzazione.

In sostanza, per superare la tendenza al “quiet” le organizzazioni devono ripensare alle proprie policy, veicolare un modello valoriale condiviso e concreto, e comunicare chiaramente ciò che si aspettano dal lavoratore in funzione del ruolo, delle competenze e attitudini ricercate.

Vuoi saperne di più di tendenze nel mondo HR?

Ascolta il nostro podcast 1,2 e tttrend: Segnali HR dal futuro!

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